“Abbiamo tutti paura che le cose cambino. E se prima era un sospetto, adesso è una certezza”. E’ una ragazza a parlare, ha un’associazione culturale, ha letto sul Post il dibattito e le polemiche sui contributi alla cultura. E adesso vuole fornire la sua testimonianza dal di dentro, per raccontare come vanno certe cose (certe, non tutte: qui non si fa di tutta un’erba un fascio). A patto che le si garantisca l’anonimato, “perché l’aria che tira non mi piace, e perché anch’io debbo campare”.
Viste le code di paglia (e le minacce) che girano, anonimato concesso. Adesso ci spieghi la storia della paura.
“Tutto è iniziato con le elezioni. Quando si è capito che Michelini avrebbe vinto, e che anche Filippo Rossi sarebbe stato nella maggioranza, molte persone che gestiscono associazioni, o che comunque ne traggono vantaggio, hanno iniziato a preoccuparsi”.
Perché?
“Perché si temeva che le cose, il sistema dei contributi, potessero cambiare. Naturalmente in peggio”.
Si spieghi meglio.
“Semplice: centrosinistra a palazzo dei Priori, dopo vent’anni di amministrazioni opposte, aggiunga un pizzico di Caffeina, e mescoli bene. Si rende conto? C’era aria di una svolta epocale. All’inizio si poteva pensare che ai referenti di centrodestra si sarebbero soltanto sostituiti dei referenti di centrosinistra, e già messa così era tragica. Ma adesso, se è vero che vogliono anche cambiare il regolamento, è anche peggio”.
Paura di perdere certi privilegi?
“Diciamo che più che privilegi ormai sembrano diritti acquisiti. C’è gente che ha un’associazione culturale come lavoro. Campa con quello. In funzione dei contributi del Comune, che finora sono sempre arrivati puntuali, domani chissà. E’ un intero sistema che rischia di crollare”.
Non crede di esagerare?
“Attenzione, sono la prima a distinguere le associazioni storiche, che da anni operano nel sociale attraverso la cultura, a quelle meno genuine, diciamo così”.
In che senso meno genuine?
“Le faccio alcuni esempi. Ci sono persone che gestiscono due o tre associazioni insieme, anche se magari non nominalmente. Ci sono quelle associazioni create ad hoc soltanto per un evento: si prendono i soldi dal Comune, si paga l’artista o gli artisti, il palco, le strutture, la Siae, il personale, quest’ultimo quasi sempre in nero, si fa l’evento e poi l’associazione si lascia lì, a morire, tanto non costa nulla”.
Nulla?
“Per fondarla ci vogliono meno di duecento euro, e un minimo di tre soci, che possono essere al limite anche parenti, amici, nonni. Si prendono i contributi per un tale evento, ci si pagano le tasse a fine anno con regime agevolato e basta. Se poi non si fa più attività mica ci sono altre spese…”
Comodo.
“Ma attenzione, ci sono anche quelli che organizzano magari un paio di eventi l’anno, sempre gli stessi, e vivono di quello. Cioè, lo fanno per lavoro. E quel determinato evento lo sentono loro per diritto acquisito. Alla fine ne risente la qualità”.
In che senso?
“Mi spiego: se io organizzo sempre la stessa cosa, sempre uguale, e prendo comunque il contributo, che stimolo ho a migliorarmi, a pensare a cose nuove? Il discorso qui è contrario: faccio l’evento in funzione del contributo, mica ottengo il contributo perché ho proposto qualcosa d’interessante…”
Altri esempi?
“I cartelloni degli spettacoli. Anche questi gestiti da associazioni, e non da società, come sarebbe più logico, come accade in altre città. Parlo di società vere, sul mercato, che hanno interesse ad organizzare eventi di qualità perché così ci guadagnano, perché non campano mica con i contributi, ma si confrontano coi circuiti seri, nazionali. Ci sarebbe competizione, motivazioni. Invece certe associazioni tirano avanti grazie ai soldi pubblici, sfruttano pure spazi pubblici, e magari poi anche con la faccia tosta di mettere i biglietti per il pubblico ad un prezzo altissimo…”
La Giunta Michelini cambierà le cose?
“Ci credo poco, sono scettica. Semmai hanno soltanto alzato il livello dello scontro, non so se riusciranno a recuperare il feeling con chi si sente deluso, e in pericolo. C’è il rischio di andare avanti in un dialogo tra muti e sordi, visto che quando ci sono di mezzo i quattrini l’armonia è impossibile”.
Una balcanizzazione della cultura viterbese.
“Penso che già ci siamo arrivati. E ricostruire tutto sarà difficile, e senza dolore”.
La sua personalissima ricetta?
“Per quanto mi riguarda, sono felicissima di uscire dal giro, una decisione che avevo già preso. Ma un suggerimento per cambiare le cose, pure se piccolo, ce l’ho”.
Prego.
“Il Comune chieda conto ad ogni associazione degli eventi organizzati degli ultimi anni. Della qualità, del successo di pubblico, di stampa, di gradimento. E decida in base al merito acquisito. Così si comincerebbe a fare un po’ di pulizia”.
Che modo buffo di partecipare a un dibattito (che in realtà non riesce mai partire) sulla cultura a Viterbo. Ne prendo atto.
Però uno si chiede, prima di tutto, che senso ha una intervista anonima? Si dicessero le cose direttamente. E poi che cosa è una allusione velatamente intimidatoria tramite antonomasia invisibile?Spero di no. O una applicazione di un modello tanto amato di giornalismo investigativo estesa a ogni cosa. Anzi, fa pensare questa cosa di ricondurre tutto a uno schema da inchiesta, dove c’è sempre qualcosa di scabroso da scoprire. Io insegno a Scienze per l’Investigazione e per la sicurezza e ho scritto per il Fatto, percui conosco bene questo genere di tendenza dei nostri tempi a poliziescheggiare tutto. Nel primo caso, con i miei colleghi cerchiamo di far capire che il mondo della sicurezza è anche altro (io personalmente prediligo la sicurezza internazionale), nel secondo caso me ne sono andato dal Fatto perché iniziavo a pensare che anche nella mia credenza ci fosse una trattativa tra la marmellata e il caffè. Però è un dato interessante da raccogliere, per continuare l’etnografia culturale di una città e di una provincia, che a quanto pare sta appassionando sempre più gente. Grazie Sassi
E la rivoluzione l’avrebbe dovuta fare Filippo Rossi da Trieste, che da oltre un lustro è il più sovvenzionato dal comune? Mi scompiscio!
E mentre Filippo Rossi daTrieste se la mena tanto con la sua grande manifestazione culturale (che, diciamocelo tra parentesi e sotto voce, già a Mazzano Romano è ignota ai più), Roberto Napoletano, il direttore di “Il Sole 24 Ore”, sulla prima pagina del “Domenicale” (prestigioso inserto culturale dello stesso “Il Sole 24 Ore”), esalta Paolo Pelliccia (commissario del consorzio delle biblioteche di Viterbo) e le sue iniziative culturali.
Credo che l’articolista abbia colpito nel segno. Le associazioni o fondazioni, anche e soprattutto quello onlus come Caffeina, elargiscono contributi a chi ci lavora. Non intendo gli emolumenti dati alla struttura associativa (presidenti, soci etc) ma a chi fa le manifestazioni culturale (attori, elettricisti, gruppi musicali, agenzie di viaggio, alberghi etc). Tutti questi in un modo o nell’altro sono legati poi a quella associazione. Più l’evento è grande, più gente è coinvolta, più si creano legami economici. Se poi come è avvenuto con Caffeina e Viva Viterbo questi si trasformano in serbatoi di voti, ecco scoppiare il conflitto d’interesse. Specie se poi assumi cariche politiche come quelle di presidente del consiglio comunale e assessore alla cultura. Ma chi lavora per chi vive di conflitti d’interesse..certe cose tende a dimenticarle quando scrive…