Indubbiamente va registrato un dato positivo: il tema cultura tira. Almeno stando al dibattito che si sta sviluppando sui social network a seguito degli articoli proposti da questa testata. Quello negativo invece, secondo l’umilissimo parere di chi scrive, è che ci si appoggi molto sull’ideologia e poco sulla concretezza. Ignorando, o fingendo di ignorare, che si sta parlando di cultura da produrre con soldi pubblici (perché se un privato vuole organizzare un qualsiasi evento e se lo paga, può fare ciò che vuole).
Il problema è che in tanti vogliono fare cultura (o dicono di volerla fare) e le risorse sono poche. Quindi i soldi vanno spesi al meglio. Ancor meglio se dalla cultura si può avere anche un riscontro economico (biglietti d’ingresso e indotto vario) che consenta un minimo di sviluppo a una città che nelle sue risorse storiche, monumentali e architettoniche ha il suo tesoretto.
Quindi, senza voler offendere nessuno, un Comune che vuol fare cultura come investimento dovrebbe puntare solo e unicamente su un criterio: la qualità del prodotto che viene offerto. Ma l’aver esternato questo semplice concetto è sembrato ad alcuni quasi un reato di lesa maestà.
E allora, visto che spesso la storia è maestra di vita, le nuove leve farebbero bene ad andare un po’ a ritroso nel tempo e andarsi a vedere cosa accadde a Roma tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, quando un certo Renato Nicolini, assessore alla cultura con le giunte Argan, Petroselli e Vetere, inventò l’estate romana.
Un fenomeno che all’epoca ebbe un successo straordinario perché aprì il centro storico della città alle periferie, ma soprattutto, accoppiando musica pop e avanguardia, balletto, teatro di strada, maratone cinematografiche di film popolari e d’autore, giocò sulla contaminazione delle pratiche di “cultura alta” e “cultura bassa”.
L’allestimento di grandi eventi cinematografici, teatrali e musicali nel centro storico ottenne sin dalla prima edizione un grandissimo successo, tanto da trasformarsi in fenomeno di costume: negli anni ottanta gli eventi dell’Estate Romana vennero emulati in numerose città, stimolando un dibattito culturale internazionale sulle modalità di intervento delle amministrazioni pubbliche nella promozione di eventi culturali destinati al grande pubblico. Insomma, Roma cambiò volto grazie alla cultura. A quella cultura. Voluta da un assessore che aveva una mente geniale. E fece scuola nel resto del Paese.
Fatte le debite proporzioni, giacché Viterbo non è Roma, quello sarebbe il modello da adottare per far uscire dal tunnel il capoluogo della Tuscia. Ma nel dibattito in corso in queste ore si pensa più all’orticello che al grande campo da arare. Come diceva il professor Pazzaglia nella fortunatissima trasmissione televisiva di Renzo Arbore dal titolo “Quelli della notte” (anni ’80) “Il livello è basso…”
Cultura, ricordatevi di Renato Nicolini
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2   Commenti
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Francamente, per quanto ci sforziamo, non riusciamo a vedere nel panorama viterbicolo qualcuno che somigli, sia pure minimamente, al compianto Nicolini, o qualche iniziativa culturale che sia paragonabile, sia pure alla lontana, all’Estate romana.
Se poi qualcuno pensa che il Nicolini viterbicolo sia Filippo Rossi da Trieste, con la sua nauseabonda kaffeina con mercato delle pulci e baretti annessi, questo qualcuno è proprio fuori strada (e fuori di testa).