Certi muri, quando cadono, non fanno rumore, non fanno notizia. Sono muri di serie B, anzi d’Eccellenza, nascosti in uno stadio che per troppo tempo, questa estate, è rimasto chiuso e abbandonato. L’impianto comunale di via della Palazzina, intitolato ad Enrico Rocchi, il presidente più grande che la Viterbese abbia mai avuto, almeno finora. Quel muro di cinta, di quelli non troppo spessi – ché sui materiali bisognava risparmiare – è crollato all’inizio dell’estate, più o meno quando la As Viterbese esalava il suo ultimo respiro, strangolata dai debiti.
LA RINUNCIA DI GIUGNO E non è un caso che il primo passo della società oltre il precipizio, verso il fallimento, sia stata la firma della rinuncia alla gestione dello stadio. Accadde in Comune, al cospetto del sindaco, con l’amministratore unico Gaetano Di Carlo intimidito, e pure alla fine convinto a firmare. Di Carlo, che in questa storia e su quella poltrona c’era finito quasi per caso, scelse la soluzione migliore per assicurare un futuro al calcio gialloblu: non un eroe, non un martire, ma tutto sommato una persona che ha fatto la cosa migliore.
Già, perché quella firma, quelle rinunce, sembravano aver spalancato un’autostrada al progetto di Piero Camilli: si porta a Viterbo la Castrense, si riparte dall’Eccellenza ma è solo questione di tempo, e saranno ricchi premi e cotillon. I sogni più sfrenati dei tifosi sembravano avversarsi: dalla rassegnazione per un fallimento annunciato (e rinviato fino allo stremo), ad una società seria, vincente nel Dna, legata al territorio e alla piazza.
GESTIONE PROVVISORIA Oggi, tre mesi dopo, il campionato è iniziato, la Viterbese dei Camilli l’ha preso di petto come tutti immaginavano, la tifoseria è ancora in piena tempesta ormonale, eppure c’è ancora qualcosa che non va. Sempre la stessa: lo stadio. Perché, anche dopo la rinuncia della vecchia società, non è stata ancora firmata la nuova convenzione per affidare la gestione al nuovo club camilliano. Si va avanti a proroghe, settimana dopo settimana, sfruttando tutta la provvisorietà che i regolamenti della Figc consentono. Con qualche rischio calcolato, come quello di aver visto dichiarare dalla Federazione stessa “a porte chiuse” la sfida di domenica scorsa contro il Futbolclub. Mancava qualche documento, la prassi è rigida, e allora è servita una corsa dei dirigenti gialloblu fino a Roma per sistemare in extremis il problema e riaprire miracolosamente le porte del Rocchi.
L’IRA DEL COMANDANTE L’incidente, comunque, è servito a Camilli – uno che sa cogliere la palla al balzo come pochi – per richiamare l’attenzione della piazza sulla questione: “Se non arriva la convenzione definitiva posso anche prendere e riportare la squadra a Grotte di Castro”, ha tuonato il Comandante. D’altronde, ne avrebbe tutte le ragioni: ha speso, spende e spenderà un sacco di soldi per vincere questo campionato – con la pippa in bocca, come dicono a Roma – e magari tanti altri che seguiranno. Per sbarcare a Viterbo non ha preteso appalti, controappalti, o favoroni, come invece usano molti altri biscazzieri del pallone. E’ venuto per fare calcio, per vincere, per regalare ai tifosi una favola come non l’hanno mai vissuta prima.
L’ATTENDISTA MICHELINI Cosa aspetta, dunque, il sindaco Michelini a dargli lo stadio definitivamente, nero su bianco, con tutti gli oneri e onori che comporta un contratto del genere? Non è un problema di accordo, perché quello che c’era prima, studiato dalla giunta Marini su misura per la Viterbese Fiaschetti, “non era fatto neanche male”, come si è lasciato sfuggire il nuovo primo cittadino. No, il problema non è di forma, ma di sostanza. Il Comune sta provando ad incassare un risarcimento alquanto cospicuo, dall’assicurazione: 120mila euro, dovuti all’amministrazione perché i precedenti gestori dell’impianto non hanno provveduto a rispettare la convenzione. Soprattutto, non hanno eseguito alcuni interventi previsti dall’accordo.
L’AGONIA DEL ROCCHI E basta farsi un giro per lo stadio, in un pomeriggio che sembra ancora estate, per rendersi conto di come stanno le cose. Stanno male. C’è il muro, d’accordo, venuto giù da qualche mese, e da allora mai riparato. In compenso, ci hanno messo una transenna, due pezzi di nastro biancorosso e via così, come se bastasse. E dire che quel pezzo di muratura fa parte della recinzione che divide l’interno dello stadio, la tribuna centrale, dal parcheggio ex Okay. Là fuori è terra di nessuno: discarica a cielo aperto con i rifiuti gettati dai tifosi, rovi alti due metri, sassi e robaccia varia. E pensare che proprio da qui, tanti anni fa, entravano gli arbitri, le squadre avversarie, e pure Lucianone Gaucci faceva parcheggiare la sua Mercedes presidenziale.
A due passi, ecco l’ascensore. Avveneristico tubo trasparente che dovrebbe trasportare i disabili, gli anziani o semplicemente i pigri fin lassù, in tribuna centrale. Peccato che la bestia funzioni raramente, anzi da quando hanno rifatto lo stadio, nel 2006, non è salito e sceso quasi mai. Ancora: dall’altra parte, lato settore ospiti, nell’abbandono più assoluto. Parcheggio nei giorni feriali, terra di nessuno la notte e la domenica. I muri imbrattati, le erbacce, la ruggine sui cancelli.
ERBA DI CASA MIA Ma il vero scandalo è in mezzo al campo. Là dove c’era l’erba (“la migliore erba del Lazio”), adesso c’è una cosa strana, cresciuta in fretta, questa estate, dopo che era stata abbandonata al suo destino – e al solleone – dalla vecchia società. C’è voluta tutta la perizia di Ferdinando Ciambella, a luglio, per riacciuffare i pochi ciuffi rimasti, annaffiarli con giudizio e alle ore giuste, e rimettere al mondo un manto che sembrava perduto. Ma adesso occorrono altri interventi per riportare il terreno ad una condizione standard, accettabile per una squadra, quella gialloblu, che fa del gioco rasoterra uno dei suoi punti di forza. Anche per questo servirebbe firmare il patto di gestione: lasciare tutto nelle mani dei tecnici e dirigenti della Viterbese, perché un conto è essere padroni in casa propria, un conto essere dei semplici ospiti.
INCUBI E DELIRI Altrimenti, si incorre in un doppio pericolo. Primo, che Camilli passi dalle minacce ai fatti e riporti la Viterbese alla condizione di semplice Castense. Secondo, che la vecchia società, sconfitta dai bilanci e dalla storia, trovi la sua ultima, allucinante vittoria: uccidere il calcio a Viterbo. C’è gente che non vede l’ora, anche se tutti noi no.
Si attende sempre l’intervento salvifico del noto tifoso della Viterbese Filippo Rossi da Trieste.