“Feste del vino, altolà del Sert: diseducative, fermiamole”. Così la titolazione del Messaggero, cronaca di Viterbo, a corredo di un articolo apparso il 2 agosto con il quale la collega Federica Lupino ha dato conto di un colloquio con Anna Rita Giaccone, una delle più valide professioniste dell’Aziende sanitaria locale, da lustri a capo del Sert (servizio per le tossicodipenze).
La tesi di Giaccone? E’ bene riproporre l’intero virgolettato. “Le feste del vino e della birra sono un’istigazione a bere. Queste manifestazioni lanciano un messaggio diseducativo. Poi non possiamo stupirci se, anche in altri contesti, qualcuno esagera. Si tratta di eventi che è come se dicessero: ubriacatevi tranquillamente, tanto è solo un divertimento e non c’è alcun rischio. Annientano in pochi giorni – accusa Giaccone – il lavoro di prevenzione che facciamo nelle scuole durante l’anno, senza che i Comuni organizzatori se ne pongano il problema”.
E’ lecito dissentire da una tesi che (absit iniuria verbis) non fatico a definire alquanto integralista?
Collegare le feste del vino – dopo l’esordio a Civitella d’Agliano, dal 22 al 24 luglio, gli altri appuntamenti sono annunciati a Tarquinia (5/7 agosto), a Gradoli (5/7 e 13 agosto), a Montefiascone (fino al 15 agosto), a Castiglione in Teverina (3/7 agosto) e Vignanello (10/15 agosto) – al tragico fenomeno della diffusione dell’alcol tra i giovani e giovanissimi è banalizzare un problema che il Sert conosce bene e che ha dato luogo, non solo alla quotidiana, benemerita attività degli operatori del Servizio, ma anche a solide pubblicazioni, frutto di approfonditi studi e analisi, non solo sociologiche.
L’ultima di tali ricerche, riversate nel bel volume “Le parole di chi ce l’ha fatta” di Luca Piras e Anna Rita Giaccone (Davide Ghaleb Editore, pp. 175, 12 euro) ha raccolto “i pensieri e le emozioni dei partecipanti ai Gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto per persone che bevono troppi alcolici, per alcolisti, per giocatori d’azzardo compulsivi e per i loro famigliari: studi ed analisi sulle dinamiche di cambiamento avviate”.
Le feste del vino della Tuscia viterbese coprono un arco cronologico di circa un mese, tra luglio e agosto. I giovani e i giovanissimi che si attaccano alle bottiglie di vino (ma anche di birra e superalcolici) purtroppo non aspettano l’estate per fare il pieno, ma si sballano in tutti i mesi dell’anno.
“Prevenire è meglio che curare”, per carità, ma non scagliamoci contro iniziative che vengono da lontano e reiterano tradizioni, gesti, riti, colture e culture, arte, storia, radici dei singoli e delle comunità, lavoro, sapienza, professionalità, sapori e saperi, convivialità, passione …
E se vogliamo andare sul prosaico, pensiamo cosa significano a livello turistico ed economico per quella manciata di borghi viterbesi che orgogliosamente organizzano le kermesse enologiche e/o enogastronomiche, in fondo rappresentando se stesse e la loro lunga storia.
“Prevenire è meglio che curare”: ma allora – la buttiamo là come ironico paradosso – sarebbe cosa buona e giusta vietare altre sagre, tra le più gettonate nella Tuscia viterbese, che istigano a stili di vita poco sani: come la festa della Porchetta che aumenta i livelli del colesterolo nel sangue; o la sagra della fettuccina che incentiva l’obesità; o quella della carne Maremmana che provoca la gotta…
Modesta proposta: aboliamo la nauseabonda “Caffeina” e teniamoci tutte le sagre.
Io partirei con un criterio culturale. Smettiamo di finanziare con soldi pubblici le feste che propongono prodotti che nulla hanno a che fare con il territorio che le organizzano. Una città che produce vino ha una cultura diversa del prodotto rispetto a quella che non la produce. Ad esempio le feste della birra sono al 90% figlie dello sballo fine a se stesso altrimenti dovremmo pensare che visto il numero il viterbese è più o meno come la Baviera. Il discorso naturalmente è generalizzato a tutti i prodotti gastronomici. Vediamo sagre di pesce dove non ci sono nè laghi né mare. Ognuno è libero di organizzare ciò che vuole ma i soldi pubblici servano a fare da volano e non a distribuire favori a congregazioni.