Dunque. Dice che in Provincia si stanno muovendo sulla questione precari. Per risolverla? Non esageriamo, le cose vanno fatte con calma, tanto il destino dei 120 lavoratori disgraziati può attendere. Per cominciare, allora, meglio fare una commissione, anzi due (“La politica, quando non vuole fare una cosa nomina una commissione”, diceva il saggio). Commissioni alle quali affidare il delicato compito di decidere la sorte dei precari, commissioni che sarebbero – sarebbero, il condizionale è d’obbligo – state nominate giusto in questi giorni. Il problema però che uno di questi organi supremi, più potenti del Gran consiglio delle Giovani marmotte, sarebbe composto totalmente da uomini, da maschietti. Tre. Un triumvirato romano, una trimurti indiana, un tris di primi, chiamateli come vi pare. E questo è male.
Perché se fosse vero, oltre ad essere una cosa alquanto sessista, sarebbe anche contro la legge. C’è una norma, infatti, che determina la composizione delle commissioni di concorso per l’accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni. E l’articolo 57 del decreto legge numero 165, del 2001. Dove è scritto chiaro che, due punti e virgolette: “Le pubbliche amministrazioni, al fine di garantire pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro, riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso”. E l’atto di nomina della commozione deve essere inviato, entro tre giorni, alla consigliera o al consigliere di parità dell’ente che lo ha fatto. Per garantire che anche le donne abbiano uguale trattamento e valutazione.
Insomma, in un’epoca in cui ci si riempie la bocca parità e che s’infilano le quote rosa dappertutto, anche nelle melanzane alla parmigiana, qui di rosa non ce n’è neanche uno spruzzo. Come d’altronde nella Giunta provinciale appena varata (e in quella precedente al rimpasto). Insomma, due coincidenze non faranno una prova, ma in questo caso non fanno neanche una quota. Rosa.