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Gianlorenzo, la guerra al giudice sgradito

Il palazzo di Giustizia viterbese

Il palazzo di Giustizia viterbese

Scherza coi fanti ma lasciare i santi, dice quel vecchio proverbio. Un adagio che Paolo Gianlorenzo, giornalista tra gli indagati nell’inchiesta della presunta Macchina del fango, deve aver preso quasi alla lettera, cambiando soltanto la grafia: dai fanti, cioè i soldati appiedati, è passato a Fanti, nel senso di Salvatore, giudice al tribunale di Viterbo.

Colui che, nel febbraio del 2012, respinse le richieste di arresto per altri indagati in un’altra faccenda puzzolente, vale a dire l’inchiesta sulla Asl. Da allora, almeno secondo gli inquirenti, l’ex direttore dell’Opinione “contatta vari personaggi al fine di reperire notizie riservate sul conto del giudice Fanti e dei suoi familiari, per screditarne pubblicamente l’operato”, scrivono gli inquirenti. Secondo Gianlorenzo, il magistrato avrebbe rigettato le richieste di arresto per l’ex direttore della Asl Aloisio e degli imprenditori Angelucci (oltre ad altri inquisiti) “poiché le figlie sono impiegate in strutture ricollegabili alle indagini”, sospettano gli investigatori. Che, è il caso di ribadirlo fino alla nausea, dovranno poi provare in sede di giudizio le loro accuse, semmai si arriverà ad un processo.

Ma torniamo al modus operandi di Gianlorenzo, almeno quello raccontato dalle carte. Il primo obiettivo del giornalista è acquisire informazioni sull’assunzione alla Asl Fabrizia Fanti, una delle figlie del giudice. Per ottenerle, prima prova a chiederle al capo del personale dell’azienda sanitaria. Che però gliele nega, o meglio gli precisa che “la richiesta deve essere presentata attraverso il sindacato o un’associazione che abbia un interesse legittimo”. E allora Gianlorenzo cambia strategia, rivolgendosi ad un’altra impiegata della Asl, Sara Bracoloni (indagata anche lei), alla quale chiede se “l’amico loro può fare la richiesta”. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, la Bracoloni ricontatta Gianlorenzo per dargli la buona notizia: ha avuto le informazioni sull’assunzione di Fabrizia Fanti. Il giorno successivo “i due concordano di incontrarsi per la consegna del materiale”. La documentazione verrà sequestrata dagli agenti della polizia stradale nel corso di una perquisizione nell’ufficio della Bracolani.

Poi arriva il turno dell’altra figlia del giudice, Silvia. Per scoprire dove lavora (o forse per confermarlo), Gianlorenzo chiede aiuto a Luciano Rossini, funzionario dell’agenzia delle Entrate di Viterbo e finito pure lui nella lista degli indagati. Il 22 febbraio gli chiede se può verificare se una persona è dipendente di un’azienda. Servono però le generalità complete della persona. E allora Gianlorenzo si rivolge ad un’altra “fonte”, la moglie di un suo giornalista, dipendente dell’Opinione. Questa, Rosalba Rubuano (indagata), è dipendente dell’ufficio anagrafe del Comune di Viterbo e “tramite una ricerca sui terminali anagrafici – scrivono gli inquirenti – fornisce le generalità complete di Silvia Fanti”. Che Gianlorenzo gira a sua volta a Rossini per chiudere il cerchio.

Come se non bastasse, il giornalista fa la controprova, telefonando direttamente al centralino di Villa Buon Respiro (clinica privata di proprietà della Tosinvest per la quale lavora la figlia del giudice) chiedendo di parlare appunto con Silvia Fanti, “dichiarando all’operatore di chiamarsi Antonio Riccardi”, annotano gli investigatori dopo aver ascoltato l’intercettazione di quella telefonata. Così come è intercettato l’sms che Gianlorenzo invia a Rossini per conferma “Silvia Fanti 1970 Villa Buon Respiro (TOSINVEST)”. Come dire, missione compiuta.

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383   Commenti

  1. Giorgio Molino ha detto:

    Ma un giudice nelle condizioni di Fanti non si sarebbe dovuto astenere dall’inchiesta?

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