Metti una sera a cena. Crostacei e pallone, il profumo del mare che arriva fino dentro al Ghetto, nel cuore di Civitavecchia. Quelli che una volta erano stati rivali, acerrimi, sul campo, adesso sono intorno alla tavola. Capelli bianchi, vino pure e zuppa di pesce. Civitavecchiesi e viterbesi, come ai vecchi tempi, anni Settanta, quando per le strade si sparava e il campo di calcio era fatto ancora di erba vera. Non c’era il sintetico, e allo stadio al massimo si faceva una sana scazzottata, mica le bombe a mano di oggi.
Per Viterbo, c’era l’avvocato Tonino Ranucci, scappato da Grosseto (dove fa l’amministratore unico della squadra della famiglia Camilli) dopo un’offerta che non si può rifiutare: la telefonata d’invito di Roberto Melchiorri, mitologico allenatore dei nerazzurri tirrenici. “Avvoca’, ce sarebbe una cenetta…”. Basta la parola. C’erano pure Pino Petrelli, allenatore di lungo corso sia del Civitavecchia sia della Viterbese, Gualtiero Brunelli, centravantone della Roma, della Ternana e del Civitavecchia e oggi affermato industriale in quel di Civita Castellana. E ancora: il portiere Zucchi, il mediano Pietrantoni, l’ex presidente del Torrimpietra Baseggio, il difensore Di Loreto, Giampiero Romiti, penna storica. Tutta gente di calcio, ma calcio vero.
Che tempi, quei tempi. Che derby, quei derby. Tipo settembre 1975, stadio della Palazzina gremito da cinquemila bocche urlanti. La Viterbese di Persenda vince su rigore, segnato da Vuerich e a fine stagione tornerà in serie C per la seconda volta nella sua storia. “Ma come tirava i rigori Vuerich? Se lo ricorda, avvocato?”, chiede Di Loreto. “Ma in porta chi c’era? Zucchi o Massimiani?”. “Massimiani”, scommette Ranucci. Un rapido consulto telefonico a casa conferma: l’avvocato ci ha azzeccato.
E giù, un brindisi e altri ricordi. Enrico Rocchi, il presidente per antonomasia. I terzini Ciccozzi e Campani, perché non c’è Ciccozzi senza Campani come non c’è Brugnich senza Facchetti: “I due terzini più forti che abbiamo mai avuto”, dice Ranucci. E Scicolone, e Tarantelli, e mister Persenda. E gli stipendi da 800 mila lire al mese che facevano gridare allo scandalo, “dove andrà a finire il calcio se continuiamo così”. Il calcio è finito qui, intorno a questa tavola, dove i ragazzi della Via Paal mangiano e scherzano insieme alle Camice rosse, ricordando le battaglie di un tempo, ricordando il rispetto che non è mai mancato.
A Civitavecchia hanno un’associazione – Civitavecchia c’è si chiama – che raccoglie tutti i personaggi che hanno fatto la storia del calcio locale. Un modo per mantenere viva la memoria e i valori di una piazza, perché il calcio è anche cultura. “Sarebbe bello fare una cosa così anche a Viterbo – dice Ranucci – Magari rispolverando quei fedelissimi che sono stati il primo gruppo di appassionati a seguire la Viterbese. Penso a Mario Piacentini, a Gildo Gasparri, a Sandro Pacella, a Vincenzo Gasbarri. E magari partire come una volta, per qualche trasferta a Pisa, o a Perugia, in serie C, perché sono convinto che tra pochi anni i gialloblu torneranno nel calcio che conta grazie a Camilli”.
Intanto, la Viterbese riparte dall’Eccellenza, da vincere subito. Cominciando magari da quella partita lì, contro il Civitavecchia. Perché va bene l’amicizia, vanno bene i ricordi, va bene persino la zuppa di pesce. Ma di perdere il derby non se ne parla proprio, oggi come ieri. Oggi più di ieri.