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Quando le bombe colpirono l’aeroporto

Porta Romana bombardata

Porta Romana bombardata

Settant’anni fa, oggi. Ventinove luglio 1943, terza estate di guerra.Un giovedì tranquillo, in questa cittadina di provincia che conosce il conflitto solo attraverso le lettere dei parenti arruolati e dalla veline che il regime passava alla radio, o ai giornali. Fa caldo, sono le due del pomeriggio. Neanche quel rumore che cresce, che riempie piano piano il cielo, scuote la tranquillità dei viterbesi: i soliti aerei che vanno a bombardare qualche posto lontano, pensano tutti, perché alla fine pure i rumori della guerra, della morte, possono diventare familiari. E invece quel rumore è per noi, viene qui, e viene per distruggere.

Sono trentasei apparecchi, i B 24, bombardieri quadrimotore: gli americani li hanno chiamati “Liberator”, perché a loro è stato affidato il compito di liberare prima l’Italia e poi l’Europa dalla tirrannide fascista e nazista. Hanno picchiato duro, negli ultimi tempi: Churchill credeva che distruggere l’Italia e gli italiani sarebbe stato utile per distruggere Mussolini. E infatti: il duce si era dimesso quattro giorni prima, sfiduciato dal Gran consiglio consiglio, nella notte del 25 luglio. Dal 10 luglio poi, il sacro suolo della patria era stato invaso dallo straniero, con lo sbarco alleato in Sicilia. Ma l’Italia continuava a combattere: senza più il suo capo, stremata, sfiduciata, ma non si arrendeva. E i bombardamenti continuavano, spietati, per spingere alla resa.

Le due del pomeriggio, il rombo che diventa assordante. Lassù, i 36 uccelli di metallo cominciano a sganciare il loro carico. Le prime espolosioni. Il fumo. Le fiamme. Sembra la Cassia, verso nord. Montefiascone? No, a Montefiascone non c’è nulla che vale la pena polverizzare. Più a sud. L’aeroporto, ecco l’obiettivo degli alleati. In un attimo, è l’inferno: hangar, depositi, dormitori, uffici. Tutto viene colpito. La pista, gli aeroplani di stanza a Viterbo e quelli che erano solo di passaggio, in transito verso il fronte. E i militari, italiani e tedeschi. Sono minuti di distruzione, mentre in città suona l’allarme e si diffonde il terrore. La contrarea regisce, ma i bersagli volano troppo in alto per essere colpiti. Quelli che hanno parenti o amici al lavoro sulla Tuscanese, nello stesso aeroporto o nei campi, già si disperano. Altri, s’incamminano per portare soccorso. Quando arrivano laggiù, pochi minuti dopo la fine del bombardamento, possono solo verificare i danni: aerei distrutti, Stukas, Macchi, alianti. Crateri ovunque. I grandi hangar ridotti a scheletri fumanti. E morti e feriti, ovunque.

Fu il primo bombardamento di Viterbo. Da allora, ce ne furono centinaia e centinaia, piccoli e grandi, come quello disastroso del 17 gennaio 1944, con la città mezza distrutta e tantissime vittime civili. Ma la guerra, qui, iniziò quel pomeriggio di mezza estate. Ventinove luglio 1943, settant’anni oggi.

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338   Commenti

  1. Francesco Scialacqua ha detto:

    Certe immagini rendono l’idea di cosa possa essere una guerra. Siamo assuefatti dal vedere in televisione la distruzione di territori che non conosciamo. Vedere la distruzione a casa nostra fa tutt’altro effetto.

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