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Una vita felice pure per gay e lesbiche

lesbicheOggi, 17 maggio, è la Giornata Internazionale contro l’omofobia-lesbofobia-trasfobia. Questo evento è stato creato per ricordare, sensibilizzare e ancora combattere ogni discriminazione nei confronti di persone non eterosessuali. La lotta è sempre verso l’esterno, come se il solo nemico fosse visibile e facilmente identificabile.

Una parola, uno spintone uno sguardo di scherno sono gli atteggiamenti palesi con cui l’omofobia si manifesta. Esiste però un tipo di omofobia, chiamata omofobia interiorizzata, che colpisce ed umilia più di uno schiaffo dato da chi odia la diversità. Ma cosa è? Un ragazzo/a sin da piccolo nasce e cresce in un contesto eterosessuale. I suoi modelli di riferimento sono un uomo e una donna. La società impone un modello fortemente eterosessuale, persino i colori diventano un segno distintivo. Ai bambini viene insegnato che il celeste è maschio il rosa è da femmine. Ai bambini maschi non può piacere il rosa, una bambola o una padellina di plastica.

Si inizia da qui ad “interiorizzare” un comportamento prestabilito, dove non c’è scampo per la diversità. Un gusto non conforme a quello standard viene subito corretto in modo da far rientrare il bambino nel rassicurante sistema eterosessuale. Si inizia così a combattere con se stessi cercando di adattarsi il più possibile a quello che i genitori, la famiglia e la società impone. Ci si inizia a nascondere e nemmeno ci si accorge di tale modalità. La persona si scinde in due: quella che i suoi bisogni e pulsioni gli dicono di essere, quella che la società gli impone di essere. Cosa ne nasce? Un grande conflitto, accompagnato da gran senso di colpa, umiliazione, una cattiva considerazione di sé e poca autostima.

Questi cattivi paragoni tra il vero sé e una società apparentamene solida, maschia, forte e poco attenta al supporto del diverso, fa sì che il ragazzo/a diverso/a pensi che in fondo lui/lei non è proprio uguale agli altri. Diciamo un po’ inferiore, ha qualcosa di meno e naturalmente non può aspirare ad una “felicità normale”, non se la merita. Nasce da qui il cittadino di serie B. Nascono da qui gli amori e le relazioni di serie B. Tutto avviene nell’ombra, tanti sotterfugi pur di non deludere i propri cari. Non si vuole far male ai propri familiari e agli amici. Si continua a vivere di giorno con una faccia e di notte con un’altra. Non si pensa che le persone che ci stanno vicino ci amano per quello che siamo, per come li facciamo ridere o per le esperienze che ci hanno fatto crescere insieme.
L’omosessuale non dichiarato, che non ha rivelato la sua vera natura, vive nel terrore di deludere o peggio di perdere le persone che ama. Queste esistenze vivono con un gran dolore la propria vita. Il conflitto in loro gli toglie forze e il sorriso. I più fuggono dal luogo di origine cercando di farsi una vita lontano dai loro cari. Questo non è giusto. Non esistono persone inferiori o superiori ad altre. Non esiste una topten sul sentimento dell’amore. Bisogna avere il coraggio di essere sé stessi, sempre. Bisogna educare i cittadini alla diversità. La diversità è crescita, la diversità è un utile modo per farsi domande, ragionare e crescere. Se tutti fossimo uguali non ci sarebbe più lo stimolo allo sviluppo e alla ricerca. Fare coming-out ( dichiararsi) vuol dire affermare la propria esistenza, la propria individualità. Ognuno di noi è differente dall’altro, non ce lo dimentichiamo. Fare coming-out neutralizza l’omofobia interiorizzata portando a una conseguente adozione di un’identità gay o lesbica positiva ed integrata nel tessuto sociale.

Bisogna parlare, dire come si è fatti, in modo da rendere questa normalità a cui tanto aneliamo sempre più vera e concreta. Penso che un omosessuale abbia il diritto di vivere una vita felice, penso che abbia il diritto ad un amore felice e che questo venga riconosciuto e istituzionalizzato come per i legami affettivi tra un uomo e una donna. Gli omosessuali dovrebbero avere, semplicemente, la possibilità di scegliere se sposarsi o meno. La scelta rende l’uomo libero. L’istituzione del registro delle Unioni Civili a Viterbo potrebbe essere un primo passo per riconoscere che anche nella nostra cittadina ci sono omosessuali e lesbiche. Proprio così, siamo dappertutto, e questa città appartiene anche a noi.

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20   Commenti

  1. Giorgio Molino ha detto:

    Faccio coming-out: sono assolutamente favorevole, anzi fautore della filipporossidatriestefobia.

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