“Un messaggio molto forte. La sua è una scelta molto coraggiosa, soprattutto considerato che si tratta di un personaggio pubblico che con l’immagine ci lavora”. Patrizia Frittelli, dirigente della struttura di chirurgia senologica dell’ospedale di Belcolle e responsabile dell’ambulatorio integrato di senologia, commenta a caldo la scelta di Angelina Jolie di sottoporsi a un intervento di doppia mastectomia per scongiurare il rischio di cancro al seno dovuto alla mutazione genetica di cui è affetta. Un intervento che la dottoressa ha effettuato a Viterbo. Ma la materia resta troppo delicata per limitarla alla dicotomia del giusto e dello sbagliato.
“Quando a una paziente diagnostichiamo un verdetto del genere – dice – le abbiamo rovinato la vita. Perché una cura non esiste”. Cosa si fa in questi casi? “Sono due strategie: un follow-up particolare e stretto, che prevede oltre all’ecografia anche la risonanza magnetica annuale. In alternativa, c’è la mastectomia profilattica”. Proprio l’intervento di asportazione del seno a cui la star di Hollywood si è sottoposta. “Le donne mutate – spiega Frittelli – rientrano nel gruppo di quelle a rischio elevato, per le quali si attivano protocolli di alta sorveglianza. E su questo argomento il mondo scientifico si interroga da anni”.
Fino a che punto si spinge il diritto alla salute? Argomento spinoso, certo. Negli States lo affrontano senza troppe remore: l’intervento di mastectomia è abbastanza diffuso. In Europa no, il dibattito è ancora aperto. Anche in Italia non in tutte le strutture viene garantito. “A Viterbo – racconta Frittelli – da un anno abbiamo introdotto il counseling genetico. Una mappatura che proponiamo quando ci sono più casi di tumore al seno nella stessa famiglia, un parente di primo grado che si ammala in pre-menopausa o età precoce, oppure quando ad ammalarsi è un familiare maschio (accade in un caso su 100)”.
Il tumore genetico della mammella riguarda il 5-8 per cento della malattia, una percentuale molto contenuta. L’intervento precede l’asportazione della sola ghiandola con posizionamento di protesi al di sotto del muscolo. “In caso di mutazione genetica – conclude – il rischio di ammalarsi è tra il 60 e l’80 per cento. L’intervento pertanto è consigliabile. Purché si spieghi bene che le protesi possono dare esito a retrazioni capsulari, connessi alla procedure messe in campo quando si posizionano”.