Ho notato che in questi giorni è decollato il dibattito sulla cultura e ho avuto la percezione che da più parti si punti soltanto a un discorso di élite, tralasciando – o addirittura mortificando – quelli che sono gli eventi legati alle più radicate tradizioni locali.
Un aspetto che mi lascia molto perplesso, in quanto quello della cultura è un concetto quanto mai vasto, ma una pubblica amministrazione – perché nel dibattito il protagonista è l’ente pubblico – ha secondo me un obiettivo primario: quello di coinvolgere, con la cultura appunto, quante più persone possibili, cercando di farne un fenomeno sociale.
Certo, i grandi eventi richiamano migliaia di persone, ma non sempre sono possibili, stante anche il fatto che l’attuale crisi economica non consente voli pindarici che spesso sono oltremodo costosi. Quindi, c’è anche la necessità di arrangiarsi, ma tenendo sempre presente i gusti delle persone. E allora penso che tante manifestazioni popolari, radicate nel tempo e nella genìa del territorio, abbiano la stessa dignità e la stessa valenza di ciò che viene considerato di alto lignaggio. Tanto per fare qualche esempio pratico, non si devono demonizzare le varie sagre di cui questa terra abbonda, giacché richiamano molte persone, come pure è da salvaguardare perfino la famosa “corsa del ruzzolone”, che ci riporta a un tempo passato sempre bello da ricordare.
Questo non significa che esistono due culture diverse. Ma va detto e ribadito che la cultura è fatta di tante cose e tutte sono funzionali alla partecipazione di massa. Dunque, vanno bene gli eventi di qualità, ma non gettiamo a mare la tradizione, che fa parte della storia dei territori. Un giusto mix mi sembra la ricetta più azzeccata per far sì che la cultura arrivi a tutti gli strati della popolazione. Senza che si manifesti quella odiosa puzza sotto il naso che sa tanto di snobbismo gratuito.
Con il sistema fognario viterbese la puzza sotto il naso arriva anche senza le sparate kulturali di Filippo Rossi da Trieste. Meglio non parlare di cattivi odori, Obì, lassa perde.