Nel corso del 2010 molti comitati locali, governi locali, cittadini hanno promosso la strategia internazionale dei rifiuti zero i cui obiettivi sono: ridurre, recuperare, riciclare e riutilizzare materiali altrimenti destinati in discarica. Queste diffuse realtà hanno come riferimento la strategia ideata da Paul Connett, professore emerito di chimica ambientale presso l’università St Lawrence di Canton – New York, che da vent’anni si occupa di rifiuti, con particolare riferimento ai rischi collegati all’incenerimento, studiando alternative più sostenibili .
L’applicazione della strategia, definita “rifiuti zero”, sta facendo registrare ottimi risultati in Australia, Nuova Zelanda, California, in particolare a San Francisco, e nel comune di Capannori. Realizzare la strategia verso “rifiuti zero” significa in primo luogo organizzare la raccolta differenziata. La sua gestione non è un problema tecnologico, bensì organizzativo. Il valore aggiunto di una simile scelta risiede nel coinvolgimento e nella condivisione dei cittadini verso politiche e pratiche tese alla sostenibilità ambientale.
Il secondo passo prevede l’introduzione della raccolta porta a porta, unico sistema in grado di raggiungere in breve tempo e su larga scala quote percentuali superiori al 70%. Allo stesso tempo, occorre realizzare un impianto di compostaggio, possibilmente a chilometri zero. La gestione dell’umido è di fondamentale importanza, pena l’insuccesso della differenziata: il 35-40% della frazione dei rifiuti è costituito infatti da scarti verdi e alimentari.
Un ulteriore passo muove verso la realizzazione di piattaforme per il riciclaggio e recupero dei materiali al fine di reinserirli nella filiera produttiva. E ancora, diffusione del compostaggio domestico, fare uso dell’acqua del rubinetto, utilizzo dei pannolini lavabili, acquisto alla spina di latte, bevande, prodotti alimentari, detersivi e ricorso alla sporta in sostituzione dei sacchetti di plastica monouso per la spesa.
Bisogna poi creare dei centri per la riparazione, il riuso e la decostruzione di edifici, dove beni durevoli, infissi, mobili, sanitari, vestiti, elettrodomestici vengono riparati, riutilizzati e venduti. Tenendo conto che questa tipologia di materiali rappresenta il 3% del totale degli scarti, i centri, come dimostrano i casi americani e australiani, sono diventati un volano per l’occupazione e l’economia dei territori. Non dimenticando di premiare il comportamento virtuoso dei cittadini, incoraggiandoli inoltre a fare acquisti più consapevoli. Fondamentale è l’introduzione di una tariffa che permetta di pagare il servizio sulla base della produzione dei rifiuti non riciclabili da raccogliere.
Dopo tutto questo, occorre un impianto di recupero e selezione dei rifiuti al fine di recuperare eventuali materiali sfuggiti alla raccolta differenziata e impedire che rifiuti tossici possano essere inviati nella discarica pubblica transitoria e stabilizzare la frazione organica residua.
Il penultimo passo prevede la chiusura del ciclo e l’analisi del residuo a valle della differenziata, il recupero, il riutilizzo, la riparazione e il riciclaggio con il fine di riprogettare gli oggetti a livello industriale, di estendere alle imprese la responsabilità sociale del produttore, di promuovere le buone pratiche di acquisto, produzione e consumo.
Non rimane che raggiungere l’obiettivo: azzerare i rifiuti entro il 2020. Con la strategia “rifiuti zero” si è oltre il riciclaggio. Tuttavia, se non ci fossero raccolta porta a porta e compostaggio domestico non potrebbe esserci “rifiuti zero”, una strategia che diviene a sua volta un vasto percorso di sostenibilità e che permette di fare scelte responsabili a difesa del pianeta.
Considerate la premesse e le virtuose esperienze, non c’è tempo da perdere. I suoli soffrono dell’aumento di erosione quando i rifiuti organici sono ancora in discarica o inceneriti. Ogni anno in Europa si sprecano più di novanta milioni di tonnellate di cibo, quando ottanta milioni di cittadini europei vivono sotto la soglia di povertà. La disoccupazione continua a crescere quando si potrebbero creare posti di lavoro solo con l’attuazione della normativa sui rifiuti. L’Europa resterà dipendente dalle materie prime provenienti dall’estero, almeno fino a quando la maggior parte dei rifiuti elettrici ed elettronici non sarà riciclata. Il 60% dei rifiuti dell’Unione europea è in discarica o incenerito.
Da Bruxelles intanto giungono buone notizie. “Saremo più che felici di cofinanziare impianti per il riciclo”: questo il messaggio del commissario europeo all’ambiente, Janez Potocnik, lanciato in occasione della pubblicazione del Libro verde per promuovere il recupero, il riuso e il riciclo dei rifiuti plastici in Europa. Inoltre, sempre secondo il commissario, non ci saranno più soldi per le discariche. Parole che fanno ben sperare.
La politica nazionale insensibile e inaccessibile alle richieste che dal basso promuovono nuovi modelli virtuosi non ha recepito la “strategia rifiuti zero” come modello legislativo nonostante le molteplici adesioni di amministrazioni locali (124 amministrazioni locali che rappresentano oltre 3.300.000 abitanti), comitati e singoli cittadini e cittadine . Ecco la necessità di un comitato promotore per una legge d’iniziativa popolare per “rifiuti zero” che recepisca il modello e che dal basso intende contaminare positivamente il Parlamento.
Rifiuti zero? Se si vuole, si può
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Il suo bello avere una corretta gestioni dei rifiuti appositamente in una comunità per evitare alcune malattie o di malattia,