Se il metro di giudizio dev’essere sempre e comunque quello del gradimento del pubblico, dell’affluenza, dei numeri gelidi, allora questa edizione numero ventisette di San Pellegrino in Fiore è un successo. Perché la gente c’è, eccome: riempie i parcheggi, affolla le vie, cazzeggia tra gli stand, i locali e i negozi (che poi faccia acquisti, be’, questo è tutto da vedere). Ma se il termine ultimo di paragone è invece l’estetica – il concetto di bello assoluto – allora questa volta la manifestazione ha toppato. E parecchio.
Domenica pomeriggio, le partite sono appena finite. E’ spuntato pure il sole, dopo le nuove della mattinata. Fa caldo. San Pellegrino in Fiore esplode di turisti, romani soprattutto, e di abitanti della provincia che vengono “a fare una passeggiata a Veterbe”, come dicono forzando l’accento, per prendere un po’ in giro i cugini di città. Via San Lorenzo è un serpentone dove si fa persino fatica a camminare, anche se non c’è nulla di particolare da vedere se non le vetrine dei negozi. Scarpe. Dolci. Vini e prodotti tipici. Tutto decorato con fiori e frutta. Un classico che premia l’impegno dei commercianti, in attesa tra qualche giorno di fare il bilancio delle entrate rispetto alle uscite.
Piazza del Gesù. Piazza della Morte, con mazzi di fiori tutt’intorno alle fontane, e i tavoli dei bar e dei locali pieni zeppi. I gelatai riempono coni e coppette. Lungo via Cardinal La Fontaine c’è un’esposizione di specchi ottocenteschi. Le gallerie d’arte sono aperte. A piazza San Carluccio comincia una lunga teoria di bancarelle di fiori: mazzi, mazzetti, persino bulbi da impiantare. E’ il regno dei vivaisti, dei coltivatori: c’è pure un trattore per dare il senso del lavoro, della fatica. Chi si ricordava – i viterbesi doc, soprattutto – delle sciccose edizioni passate, rimane un po’ deluso: le grandi composizioni di un tempo, vere e proprie sculture vegetali, non ci sono più. Questa, d’altronde, è la versione low cost di San Pellegrino in Fiore: la storia – e l’aritmetica – hanno insegnato che conviene cambiare registro: spendere meno, allestire un mega mercatino senza troppi effetti speciali. Tanto i turisti ci sono sempre, e magari comprano pure un vaso di petunie da riportare a casa (occhio, però, che molti già cominciano ad appassire).
Lungo via San Lorenzo, sul ponte per arrivare a Palazzo papale, la calca cresce, e crescono pure i candidati che fanno passerella in vista delle prossime elezioni comunali (viste anche alcune bandiere e alcuni cartelloni di liste e partiti: è la campagna elettorale, bellezza, e tu non puoi farci niente). A piazza San Lorenzo, l’unica composizione floreale di una certa grandezza, a centro piazza, sembra un pezzo dell’infiorata del Corpus domini che fanno a Bolsena. E in fondo, a ridosso della scalinata, ecco un bel gruppo di palestrate (nel senso: di ragazze che frequentano di palestre) che balla la zumba, musica a palla e coreografia evidentemente studiata nei lunghi mesi d’inverno. Che c’azzecca un ballo afro-caraibico con San Pellegrino in Fiore, direte voi? Non si sa, ma tutto fa folclore, tutto fa colore. Niente fiori, ma opere di bene.
Condivido pienamente il suo articolo, gentile giornalista, le è sfuggito però quel “serpentone” di auto che da Porta Romana al Sacrario faceva da corollario (negativo) a questa piacevole giornata.
Continua imperterrita la “miopia” dei pochi che continuano a permettere l’accesso alle auto da Porta Romana al Sacrario, affumicando i pedoni e turisti ( che nonostante il poco, arrivano ugualmente) e vanificando in parte la visita ed il piacere di trovarsi in un luogo che è tra i più belli d’Italia.
Antonio DI PIETRO