Troppo scontato sottolineare che “noi l’avevamo detto” che la “non” sentenza sullo stupro di Montalto di Castro puzzava di bruciato. Un lezzo che è arrivato fino al parlamento europeo la cui vice-presidente, Roberta Angelilli, nella sua interrogazione urgente al commissario per la giustizia, Viviane Reding, parla di “violazione dei diritti umani indegna di uno stato di diritto” e di “una doppia violenza per la vittima, prima a causa dell’abuso subito e poi a causa di inaudite lungaggini processuali”.
Non è da meno il ministro della giustizia Paola Severino che non solo ha chiesto gli atti del processo, ritenendo improponibile uno stupro di gruppo ridotto a una mera ragazzata, ma, addirittura, sembra stia valutando se inviare ispettori al Tribunale dei Minori di Roma.
Viene da chiedersi come funziona la giustizia in Italia, se i giudici non siano così oberati di lavoro – pure addietrato visto che per una “non” sentenza ci sono voluti 6 anni – da prendere lucciole per lanterne, anzi, lanterne per lucciole in questo caso, e da decidere motu proprio anche di alleggerire le patrie galere da personaggi che ritengono di poter lasciare a piede libero, malgrado siano colpevoli di un delitto esecrabile come lo stupro, la violazione di un essere umano.
E se al posto di quegli otto montaltesi ci fosse stato un branco di stupratori composto da stranieri – meglio non ipotizzare la nazionalità – il giudice avrebbe comunque insistito a offrir loro l’escamotage di un percorso di reinserimento sociale, una messa in prova, quella stessa che la Cassazione – chiamata in causa dalla procura minorile – nel 2009 aveva bloccato, rimettendo tutto in discussione? Il dubbio è lecito.
Come fa un giudice, peraltro donna, a far intravedere l’ipotesi che la ragazza non subì coercizione da otto ragazzotti trasformati in satiri dalla serata di festa innaffiata di alcol, dai profumi della primavera incipiente, dall’idea di avere a disposizione una femmina che nessuno difende, anzi. E se stupro ci fu, come non seguire una linea punitiva? Il pm del tribunale dei minorenni aveva chiesto quattro anni per ogni componente del branco ma le sue richieste sono andate a vuoto.
E la ragazza che ha subìto violenza? Non è difficile immaginare il suo stato d’animo dopo sei anni di guerra a colpi di carta bollata e avvocati, aule di tribunale e tante, troppe delusioni. Ha solo 21 anni e, vista la sua triste esperienza, forse per lei la giustizia è solo un nome astratto. Come darle torto?