In tempi di crisi può accadere che la guerra per la sopravvivenza si combatta anche a colpi di etichette. Luogo di scontro (annunciato, se non ancora dichiarato) il distretto di Civita Castellana. Campo di battaglia il settore della ceramica, in particolare quello dei sanitari. A fronteggiarsi Confindustria e Federlazio per un eventuale marchio da applicare sulle produzioni locali. Nei giorni scorsi Confindustria ha «raccomandato» alle aziende associate del polo civitonico di «indicare con chiarezza e trasparenza l’origine dei prodotti» sotto un’unica etichetta: «Ceramics of Italy». «Raccomandazione» rivolta soprattutto alle industrie del comparto sanitario: una ventina che rappresentano circa la metà delle imprese italiane di riferimento.
Come dire: cari produttori, noi vi concediamo il marchio in cambio della conferma della vostra permanenza nell’associazione. Che non è esattamente una pura formalità perché il privilegio ha un costo: si parla di circa 6.000 euro all’anno per le ditte sotto i 15 dipendenti che raddoppiano per quelle sopra i 15. Sembra però che l’iniziativa di Confindustria non abbia avuto molto appeal in quanto quel marchio «Ceramics of Italy» risulta vago e quindi non offre il valore aggiunto di una territorialità precisata del prodotto di provenienza. Insomma, non indica il «made in Civita Castellana», ma soltanto un più generico manufatto nazionale. Una crepa nella quale si apprestrebbe ad inserirsi Federlazio offrendo, invece, alle imprese sanitarie un marchio di fabbrica localizzato. In altre parole, una Denomizione di Origine Controllata che garantirebbe la massima valorizzazione della qualità dei generi di distretto.
Da qui la guerra annunciata tra le due massime organizzazioni associative che se può essere giustificata da necessità di ordine finanziario, non giova certamente al salvataggio, rafforzamento e sviluppo di un settore in evidente crisi come dimostrano i numeri: 41 le aziende nazionali di sanitari (-2 rispetto al 2011) che occupano 4.196 dipendenti (-4,16%), che hanno prodotto 4,60 milioni di pezzi (-5,6%) dei quali 4,48 milioni (-4,47%) venduti. Evidentemente, il momento drammatico esigerebbe, tra Confindustria e Federlazio, uno scatto sinergico mirato a valorizzare il prodotto territoriale anzichè un confronto a colpi di tessere. Dice Alessandro Angelelli, consigliere provinciale Pd, fratello del primo cittadino di Civita: «L’iniziativa di Confindustria viene scarsamente percepita in presenza di una situazione lavoro al limite dell’emergenza: su un totale di trentamila occupati del distretto (Civita, Castel S.Elia, Corchiano, Fabrica, Gellese, Nepi, Faleria, S. Oreste) in un decennio quasi 3.000 hanno perso l’impiego e 2.500 sono in cassa integrazione». Chi combatte in prima linea una lotta quotidiana per la sopravvivenza ha altro da pensare che a una guerra per il marchio.