Ambito territoriale ottimale: per gli amici (pochi), Ato. Quello della Provincia di Viterbo per la seconda volta consecutiva non ha raggiunto il numero legale: la maggior parte dei sindaci non si sono presentati. E la cosa ha fatto tuonare il presidente Marcello Meroi: “Questa è una sconfitta della politica, che continua ad abdicare al suo ruolo decisionale. Adesso – ha scritto il presidente in una nota – non resta che convocare per la terza volta la conferenza. Ma già da ora annuncio che, qualora dovesse mancare per l’ennesima volta il numero legale, mi rivolgerò direttamente al neo presidente della Regione, Nicola Zingaretti, chiedendogli ufficialmente di valutare l’opportunità di mantenere in piedi questo Ato”.
Già, ma a che cosa serve l’Ato? Semplice, a dare le linee di indirizzo sulla gestione idrica. Ovverosia su come portare il prezioso liquido dalle sorgenti ai rubinetti dei cittadini di Viterbo e provincia. E a dare indicazioni alla società di gestione (nel caso della Tuscia la Talete spa) sulla risoluzione dei problemi che possono sorgere. Come, ad esempio, quello dell’arsenico, che i viterbesi continuano a bere, nonostante i divieti della Comunità europea. Perché i famosi dearsenificatori, che avrebbero dovuto essere istallati entro il 31 dicembre scorso, latitano. E chissà per quanto altro tempo ancora latiteranno.
In compenso l’Ato costa. Anzi, ci costa. E non poco. C’è qualcuno il cui stipendio annuo sfiora i 250 mila euro, lordi ovviamente. E qualcun altro che arriva appena (si fa per dire) a 150 mila. Comunque, visti i tempi che corrono, i fortunati non si possono lamentare. “Quello che costa – ammette Meroi – è la segreteria tecnica”. Che, in assenza di decisioni da parte dell’organo politico, forse non è che abbia gran ché da fare.
Va detto anche che in teoria la struttura sarebbe stata abolita dal 31 dicembre scorso, su decisione del governo Monti (il quale evidentemente ci aveva visto giusto). Ma continua a operare grazie ad un provvedimento regionale di proroga. E adesso, ancora non si sa se il neo governatore Nicola Zingaretti vorrà cancellarlo per sempre. Comunque sia, questa incertezza si somma alla dubbia utilità dell’Ato così come è oggi.
“Se Ato e Talete debbono continuare così è meglio chiuderli e ripensarli”, sintetizza Meroi, mostrando ancora una volta quel buon senso che tutti invero gli riconoscono. E infatti: se le riunioni del primo sono snobbate dai sindaci, la seconda (ovvero, la Talete), vede l’adesione di soli 24 comuni su 63 totali della Tuscia. Insomma, uno sfacelo.
E pensare che non più di un anno fa il popolo italiano, chiamato a votare con un referendum sulla gestione idrica, si pronunciò con una percentuale bulgara a favore dell’acqua pubblica. Per evitare la probabile speculazione dei privati su un bene di primaria importanza. Concetto giusto e condivisibile. Ma se poi la gestione pubblica se ne frega di risolvere i problemi e sperpera il denaro con stipendi da favola a pochi eletti, è lecito chiedersi: è meglio la padella o la brace?