Essere combattuti tra l’esercitare o no il diritto dovere del voto e la consapevolezza che è l’unico modo concreto per cambiare la politica di un Paese. E’ il dilemma di questi tempi, per molti italiani, di questa Italia accompagnata sull’orlo del baratro da troppi anni di malgoverno con una politica scellerata, che ha scardinato i principi basilari della democrazia come il non rispetto per le Istituzioni, non riconoscere i partiti come rappresentanza collettiva: è il passo vicino allo sbandamento totale.
Vorrei perciò rivolgermi a chi si pone questo interrogativo, perché io credo che un Paese con le tante opportunità come il nostro, così come la Regione Lazio, possano uscire da questo pantano solo se alle prossime elezioni ci sarà un’inversione di tendenza, un cambio di rotta nell’affrontare i tanti temi che abbiamo posto da tempo, senza ricevere adeguate risposte. Adesso c’è l’opportunità di porli a tutti i candidati, sia a livello nazionale che locale.
E’ evidente che tra i tanti al primo posto c’è il lavoro e i diritti di chi lavora, di chi il lavoro non ce l’ha mai avuto, di chi è precario e di chi lo ha perso. Abbiamo fermamente detto che occorre un piano industriale per l’Italia pensato e poi realizzato da un governo che un’idea ce l’abbia su questi temi, così come per l’agricoltura e per il turismo: fonti inesauribili per quanto riguarda il nostro Paese. In tutto ciò va coniugato il tema non più rinviabile sul come farlo per proteggere l’ambiente, sul come produrre l’energia rinnovabile, per non trasferire il profitto esclusivamente alle multinazionali: è necessario prevedere e facilitare la produzione decentrata con istallazioni in favore delle famiglie, delle piccole aziende, delle strutture pubbliche.
Abbiamo impellente necessità di un governo che rimetta in moto il meccanismo virtuoso di un welfare che può produrre anch’esso occupazione; rivedere le riforme sulla previdenza, perché non si può mandare in pensione un operaio a 67 anni. Probabilmente verrà licenziato prima, perché non rende più nella produzione. E così non si facilita l’entrata dei giovani nel mercato del lavoro. Un mercato che va reso più stabile e che dia garanzie per tutti gli occupati.
Da subito s’ impone l’esigenza di trovare la soluzione per gli esodati e gli ammortizzatori sociali, sia quelli in deroga per la Regione Lazio che scadranno ad aprile, sia a livello nazionale, visto che sono state stanziate cifre insufficienti e al contempo ci sono migliaia di lavoratori nell’incertezza del futuro.
Sicuramente sappiamo quanto questa crisi, abbia reso più poveri milioni di italiani. Questo ha inciso sulle entrate del bilancio dello Stato, perché è evidente che se si abbassano i consumi di tutti i generi le entrate dovute per le imposte (vedi Iva e Irpef ) mancano all’appello. Così come sappiamo che le sole politiche di rigore monetario per allentare il debito pubblico che si riproduce per effetto di questa recessione ci porterà inesorabilmente al disastro economico ed occupazionale.
Se sono stati rimessi a posto i conti per le emergenze, come viene detto, possiamo dire a gran voce che quel risanamento è stato sopportato esclusivamente da lavoratori, pensionati, e dalle piccole imprese o aziende individuali. E allora chiediamo un cambio di passo. Dobbiamo ragionare a “saldi invariati”? Bene ma possono e debbono cambiare le voci da tagliare o da ridurre.
E’ per questo e molto altro, che il prossimo 24 e 25 febbraio dobbiamo riflettere sul futuro dell’Italia e della Regione Lazio. E non ho alcun dubbio che una riflessione attenta ci induca ad esprimere il consenso, non ai populismi facili, alla demagogia, alle false promesse, ma a chi nella trasparenza garantisce un cambio di rotta che riporti la giustizia sociale nell’azione di Governo, che riesca a far sentire persone con i loro diritti e la loro dignità, anche gli ultimi, i più poveri e più indifesi che in questi anni di follia liberista sono stati abbandonati. Naturalmente stando attenti alle azioni concrete che il nuovo governo metterà in campo.