Chissà se i sindacati sanno di avere una via a loro dedicata, in quel di Viterbo, nel cuore della zona industriale – anzi, della “località produttiva”, come la definisce pomposamente persino Google maps – del Poggino. Già, perché le vie di questo quartiere schiacciato tra la vecchia Cassia e la ferrovia, appena a nord del capoluogo, hanno dei nomi bellissimi. Almeno i nomi. Via dei sindacati, e va bene, e poi via dell’industria, via dell’agricoltura, via del lavoro e persino via della chimica, manco fossimo a Porto Marghera. Se la toponomastica va bene, è tutto il resto
che lascia a desiderare. E che fa incavolare puntualmente, da trent’anni a questa parte, chi al Poggino ci lavora, ci investe, ci crede.
“Qui ci sono circa duecento aziende – ragiona Antonio Di Pietro, della Contograph, società di informatica e rivenditore di hardware con tradizione e clienti pluridecennali – e se consideriamo una media di dieci dipendenti a realtà, ecco che sul Poggino gravitano quotidianamente duemila persone. Alle quali vanno aggiunti quelli di passaggio, a partire dagli oltre duecento dipendenti del carcere di
Mammagialla”. Tanta gente, insomma, che “insiste sul quartiere”, come direbbero gli urbanisti o quelli bravi. Peccato che lo spettacolo che si presenti loro non è dei migliori, specialmente dopo ogni maledetto week end.
“Succede che il sabato e la domenica questa zona sia abbandonata a se stessa – racconta Di Pietro – E che diventi una discarica perfetta per tutti quelli che vogliono liberarsi dei rifiuti. Qualsiasi tipo di rifiuto, sia chiaro: senza educazione né rispetto per il prossimo, né per la natura”. E infatti basta farsi un giro per il quartiere per imbattersi in un’infinita collezione di rifiuti che farebbe la sua porca (è il caso di dirlo) figura in una favela di Fortaleza o forse in una galleria di arte post moderna dell’East Village a New York. Lungo via dell’industria – la lunga fettuccia doppia che dovrebbe essere la via principale del Poggino – si trovano materassi e divani ammassati sul bordo della carreggiata. In fondo alla strada, poi, ecco una vera e propria, e gigantesca, discarica: televisori di tutte le dimensioni, torri di inquinatissimi vecchi pneumatici, scarti edili (segno inequivocabile che anche certe ditte viterbesi non badano a scrupoli per liberarsi di mattoni e calcinacci), barili di platisca, e persino un intero set da bagno, cesso e bidet compresi. Insomma, uno schifo. E basta uscire dalla via principale per trovare altra robaccia buttata là: un altro materasso e un altro televisore abbandonati hanno ispirato la mano di un altro imprenditore della zona, che ha affisso un cartello di protesta: “La monnezza va inserita nel secchione. Quando è colmo riportatevela a casa. A noi non fa comodo”. Lo sfogo è comprensibile, meno lo è stato chi ha lasciato ulteriori rifiuti ai piedi di quell’incazzato tazebao.
Ancora Di Pietro: “Se alla monnezza aggiungiamo le condizioni delle strade, con buche ovunque e allagamenti quando piove, la mancanza di un sistema fognario per le acque bianche, e la mancanza di sicurezza visto che i furti sono all’ordine del giorno, il quadro è completo, e desolante. Quello che più ci dispiace è l’assoluta mancanza di interesse da parte dall’amministrazione comunale, che da anni ci ha lasciati soli”. Già, perché dal Poggino giungono urla nel silenzio da sempre, nonostante gli sforzi degli imprenditori. I primi risalgono agli anni Ottanta, quando si cominciò a capire che dietro a questo quartiere i politici non avevano pensato ad un progetto di sviluppo organico e armonico, ma semmai casuale e improvvisato. Allora fu fondato il Ciap (consorzio di sviluppo del Poggino), che dopo qualche coraggioso tentativo si trovò a sbattere contro un muro di gomma stile Ustica. Più tardi, a metà del Duemila, i nostri ci riprovarono, sperando in un cambiamento, o in un miracolo.
Nacque allora la Surrena, società per azioni sorta dalla collaborazione di 120 aziende della zona. Ma l’epilogo fu sempre lo stesso: assenza totale di risposte dagli enti locali, oltre a qualche dissenso tra i soci.
Oggi il Poggino è ancora una volta solo e decadente, col paradosso che dentro le aziende si continua a produrre e a lavorare, perché questa è la spina dorsale dell’economia del capoluogo. Ma quando c’è da far visitare l’azienda a qualche ospite forestiero (magari persino straniero) l’imbarazzo dei padroni di casa è tanto, e spesso bisogna ricorrere a qualche piccola bugìa: “Scusate se le strade sono sporche, c’è lo sciopero dei netturbini”.Oppure: “Scusate per le buche sulla careggiata: siamo stati appena colpiti da uno sciame di meteore”. Cose così.
A guardar bene, qualcosa di nuovo è spuntato di recente tra lo spartitraffico di via dell’industria, tra l’erba alta e le lattine vuote: sono le plance per i manifesti elettorali, pronte a ospitare le solite facce dei soliti candidati: “Ogni volta è così – considera amaro Antonio Di Pietro – Ci aspettiamo la consueta processione di politici che verranno a prometterci più attenzione e più e più interventi per la zona, salvo poi sparire il giorno dopo le elezioni. Eppure, ci basterebbe un confronto sincero, onesto, una vicinanza anche morale che invece non abbiamo mai visto da chi di dovere”. Qui Poggino, quartiere morto fuori ma vivo dentro.
Per fortuna questa volta si può dare uno “schiaffo” alla politica…
Una sistemata no eh… E’ la nostra zona industriale, sembra abbandonata!