C’è un’industria in Italia che non conosce la crisi: il gioco d’azzardo. E’ la terza per “fatturato” e aumenta ogni anno il suo giro di affari che è stimato in 76,1 miliardo di euro. Quello illegale, in mano alle organizzazioni criminali, secondo il dossier “Azzardopoli” di don Luigi Ciotti, ha un giro d’affari di 10 miliardi di euro e ogni italiano – neonati compresi nella statistica – nel 2011, ha speso 1.260 euro per tentare la fortuna. E già sono oltre 800 mila i giocatori ‘patologici’ con dipendenza psicologica ed economica.
E questa epidemia sociale si sta abbattendo anche sulla Tuscia con centinaia di giocatori “compulsivi”, persone che non riescono a smettere di tirare la fatidica leva delle slot machine o di scommettere forte nella speranza di una vincita colossale che potrebbe rimettere a posto tutto. Ma che loro sarebbero disposti a rimettere di nuovo in gioco.
Anna Rita Giaccone (neurologa direttore del Sert della Asl di Viterbo che segue circa 1.700 pazienti tra alcolisti, drogati e giocatori compulsivi – altrettanti utenti arrivano al servizio per accertamenti medico-legali causati da guida senza patente o in stato di ebbrezza) – e Luca Piras (sociologo della Provincia ed esperto in interventi di self-elp) confermano la crescita esponenziale dei giocatori patologici e anticipano: “Le richieste d’accesso al servizio, che è pubblico e gratuito, sono in costante aumento tant’è che presto potremmo non essere in grado di accogliere tutti. Il nostro è un osservatorio privilegiato che ci permette di constatare l’andamento del problema in drammatica estensione, come indica il numero sempre crescente di persone che ci chiede aiuto”.
Ai gruppi di auto-mutuo aiuto si arriva per lo più solo dopo liti furibonde in famiglia, assenze ingiustificate da casa e dal lavoro, irritabilità e sbalzi d’umore, stati di confusione emotiva e cognitiva, attacchi di panico e la preoccupazione degli operatori del settore è tale che hanno inviato una lettera ai sindaci chiedendo <di contrastare il fenomeno bloccando magari le autorizzazioni per nuovi esercizi del gioco d’azzardo, vietando sale da gioco vicino a scuole, ospedali, uffici postali e avviare campagne d’informazione sul territorio>.
Ma ai gruppi Ama arrivano solo uomini o il gioco compulsivo sta coinvolgendo anche le donne?
“E’ una malattia – riconosce L. C., una donna che racconta la sua vicenda una volta rassicurata sull’anonimato – che mi stava facendo perdere tutto: marito, figli e per fortuna che la casa non era a mio nome, altrimenti forse sarei arrivata a venderla. E ci saremmo trovati in mezzo alla strada”.
Non è orgogliosa di se stessa per aver messo in pericolo la famiglia con il suo vizio, ma lo è per come è riuscita a tirarsi fuori da quel tunnel che la stava spingendo sempre più in basso, pronta a ricorrere a bugie e sotterfugi pur di soddisfare la sua voglia di azzardare.
“Ho sofferto le pene dell’inferno perché mi sembrava che i soldi mi bruciavano nelle mani, avevo sempre voglia di giocare, ma mica dieci euro, centinaia e centinaia. Video poker, gratta e vinci, lotto, scommesse un’ossessione che mi teneva in ansia, sulla corda. Anche perché dovevo trovare il modo di nascondere dove andavano a finire i soldi del mio stipendio che sembrava sempre sfumare in mille rivoli ingiustificabili, tanto che avevo pensato di ricorrere ai cravattari”.
Però non è arrivata a tanto e s’è tirata fuori dal gorgo dell’azzardo. “Se non c’erano i gruppi Ama e la mia famiglia, non so se ce l’avrei fatta. Marito e figli mi sono stati vicini e hanno patito con me per arrivare a capire il motivo di questo comportamento aberrante. E’ stata dura ma insieme ci siamo riusciti”.