In ritardo di sei anni, ma la giustizia s’è mossa e per gli otto stupratori di Montalto ci sono in predicato 48 mesi ciascuno di galera. Ma la repressione può fermare la violenza sessuale contro le donne? Difficile ritenerlo possibile se un prete dall’altare dice che le donne devono evitare di vestire in modo provocante e se un procuratore d’esperienza suggerisce alle ragazze di non uscire mai da sole di sera. Insomma, quasi quasi si potrebbe leggere tra le righe “Ragazze, giovani donne non vi mettete le minigonne, attirano troppo l’attenzione degli uomini: anzi, per sicurezza indossate anche voi il famigerato burka”.
Però le donne dicono il loro no forte e chiaro e non si adatteranno a tornare indietro nel tempo perché è necessario che ognuno viva la sua vita come preferisce senza che qualcuno si senta in dovere di fustigarlo per i suoi vestiti o atteggiamenti. Il problema grosso grossissimo è che non c’è rispetto per le persone di qualunque sesso esse siano e questo dipende molto dal tipo di educazione che si dà ai figli. Lasciamo stare il fatto contingente, guardiamo a questo gruppo che si comporta in modo animale non appena individua una persona debole di cui può essere facile approfittare. Giorni fa su Facebook una ragazzina della scuola media (13-14 anni) messaggiava a una amichetta della stessa età una sua bravata: “incontrato il frocietto per il Corso, l’ho sputtanato”. Ecco. La violenza comincia da lì, da questa forma già chiara di omofobia nei confronti di un compagno di scuola che ha atteggiamenti ritenuti gay. Ma perché prendersela con lui? Perché una ragazzina deve ergersi a giudice di un’altra persona secondo lei diversa? Quale fastidio le dà?
Così la violenza fisica può colpire duramente donne, gay, chi appare diverso. Negli States un bambino obeso si è ucciso perché ancora attraverso internet i compagni lo prendevano in giro. E in Italia una quattordicenne s’è tolta la vita sempre per la persecuzione telematica dei cosiddetti “amici”.
Se la quindicenne di Montalto fu stuprata da otto suoi coetanei, se una parte del paese si scagliò contro di lei accusandola di essere una “puttana” – perchè magari non aveva una reputazione proprio candida, secondo i suoi detrattori – la poveretta oltre alla violenza fisica subì anche quella morale e si trasformò per un certo tempo in una rejetta che, oggi, ancora fatica a ritrovare la sua strada e a tenere alta la testa con dignità. Perché lei non deve vergognarsi di niente.
Per dirla con la compianta Lagostena Bassi, non è mai capitato che un gioielliere derubato fosse messo sotto accusa più dei suoi rapinatori perché magari in passato aveva commesso un reato di ricettazione. Invece alle donne stuprate viene anche chiesto se prima erano vergini, perché lo stupro conta di più se la donna non aveva avuto precedenti rapporti sessuali. Come se fare l’amore con l’uomo che scegli fosse paragonabile lontanamente alla brutalità di uno stupro.
Aspettiamo la sentenza del 4 marzo per sapere se la ferocia stupida del branco avrà la sua giusta punizione che può aiutare quei ragazzi a ricostruire se stessi con una personalità migliore e più consapevole dei diritti altrui.
Violenza sessuale: la repressione serve?
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