I nostri illustri Padri etruschi sembrano davvero condannati a non dormire sonni tranquilli. Con una terra, la loro – e oggi la nostra – che rischia di perdere progressivamente udito e.. faccia. Per colpa dei tanti jet di cartapesta che in questi ultimi anni hanno volteggiato sulla loro testa, spinti da quel carburante che si chiama fantasia. In certe circostanze mirate, si acquista a prezzi stracciati. Per essere più chiari e per entrare nel merito della questione senza ulteriori preamboli: stiamo alludendo al fantomatico aeroporto che da almeno un decennio dovrebbe sorgere a ridosso del capoluogo. E per il quale proprio ieri il ministro Corrado Passera ha decretato il definitivo De Profundis: non si farà più.
Anche se qualche giorno fa c’era chi aveva proposto di realizzare la struttura in prossimità di Tarquinia. Quando? Dove? Come? Non si sa. L’idea, assai suggestiva, è stata lanciata da Beppe Fioroni, l’onorevole, il ministro. Fate voi. Comunque personaggio di spicco del firmamento politico viterbese. E non solo. Fioroni immagina, anzi propone, di trasferire progetto (che non c’è), risorse (che non ci sono) e bagagli (quelli, forse, arriveranno) dall’ombelico della Tuscia al litorale etrusco. Domanda, ineludibile e fondamentale. Uno scalo per farne cosa? Una struttura di appoggio a Fiumicino, in grado di decongestionarne il traffico? Difficile, anzi tecnicamente assurdo perché due aeroporti in pochi chilometri e in una manciata di minuti di volo, l’uno dall’altro, non servirebbero allo scopo. Non si è mai vista una quasi sovrapposizione di due scali con la identica destinazione d’uso. Vedasi l’ubicazione geografica dei tanti impianti situati in Europa e in Italia (già ne ha in abbondanza e per questo quasi tutti in sofferenza). Un’operazione che costerebbe molto e non avrebbe un alcun riscontro commerciale in termini di flussi di traffico passeggeri. Condannerebbe il Leonardo da Vinci al nanismo e rischierebbe di far sorgere a Tarquinia l’ennesima cattedrale nel deserto.
Diverso sarebbe pensare ad uno scalo sul litorale tirrenico da destinare esclusivamente ai voli low cost e alla movimentazione merci. Cioè traffico turistico e cargo. Ma in questo caso diventerebbe pregiudiziale risolvere il vecchio problema di Ciampino che, attualmente, svolge lo stesso ruolo. Gli abitanti della cittadina dell’hinterland romano da tempo chiedono il trasferimento dell’aeroporto (e questo dovrebbe già essere oggetto di riflessione per gli amanti della materia aeronautica) senza aver incassato più di qualche vaga promessa. In altre parole, fin quando Ciampino resterà operativo, né Viterbo, né Tarquinia potranno riqualificare o asfaltare una sola pista. Ciampino mette fuori gioco automaticamente la Tuscia perché è semplicemente impensabile mantenere due scali low cost/cargo a Nord e a Sud della Capitale. Impegnati a farsi concorrenza tra loro. Da ultimo, ma non ultimo, il doppio nodo delle risorse e delle infrastrutture. Non ci sono tracce né delle une e né delle altre, se non in fantomatici progetti. Più precisamente, negli impegni orali che tornano in prossimità di importanti scadenze. Una domanda ancora, che dovrebbe essere oggetto di attenta riflessione da parte dei fratelli Wright della Tuscia: un aeroporto specializzato in low cost e cargo garantirebbe soltanto pochissimi posti di lavoro e scarso impatto turistico. In cambio di una sola certezza, quella di far rivoltare qualche lucumone nella tomba.