Domani alle ore 16 la Viterbese affronta l’Arezzo per la fase nazionale dei playoff. Se vince, andrà avanti nella corsa, e troverà altre avversarie. Ma un piccolo-grande miracolo, i gialloblù, lo hanno già centrato, conquistando i play-off del loro girone battendo prima il Sansepolcro e poi, mercoledì sera, lo Spoleto. Il vicepresidente Maurizio Donsanti (uno dei pochi dirigenti rimasti in una società devastata dai debiti) racconta per Viterbopost le emozioni di questa marcia trionfale. Sperando che il suo intervento sia di buon auspicio per le prossime sfide.
di MAURIZIO DONSANTI
Salgo le scale del tunnel che portano in campo. Ho il respiro corto, il cuore in tumulto e gli occhi bagnati da acqua salata. Nelle orecchie i cori dei tifosi, la colonna sonora di questa sera di maggio allo stadio Rocchi di Viterbo. Che in questa notte di primavera umida, contiene e accarezza le emozioni di una città intera. La Viterbese ha vinto ma è come se ognuno di noi avesse vinto la propria personale partita. L’abbraccio sul campo è collettivo, tutti hanno giocato, tutti hanno vinto. Perché la storia di questa squadra, non è solo una storia di calcio. E’ molto di più. E’ il racconto di una sfida contro il destino già segnato, il paradigma di questa stagione di crisi economica che travolge tutto. La storia di questa squadra è anche un soffio di speranza.
Perché a un certo punto i soldi non ci sono più. Niente rimborsi ai giocatori. Tutto finito. Come sta accadendo a decine di aziende di questo disgraziato paese. Resto solo a rappresentare la società. Gli altri dirigenti si dimettono. E’a questo punto che succede qualcosa di straordinario. E qui che diventiamo una banda di strada. Ci ritroviamo negli spogliatoi tutti quanti. Gli occhi dei ragazzi interrogano i miei, quelli di Farris, Fimiani, Manfra, Cusi, Ursini, Garzia, Caniello, Giovannini, Gobattoni. Sarebbe stato facile mollare tutto, anche naturale. Invece no. Decidiamo di sfidare il destino che ci vuole finiti, di andare avanti. Nonostante tutto. Parliamo con i tifosi in sala stampa in un’atmosfera surreale. E’ in quel pomeriggio triste, solitario e finale di un marzo piovoso che diventiamo quello che siamo oggi, una comunità. I tifosi, straordinari e impagabili, escono fuori e cominciano a incitare i ragazzi. La scintilla è scoccata. Ci ritroviamo tutti in mezzo al campo e decidiamo di infrangere le regole. I tifosi cominciano a raccogliere soldi per permetterci le trasferte, per aiutare i ragazzi. Loro, disoccupati e senza soldi, diventano lo sponsor principale. E’una questione di stile. Inizia un altro campionato. L’autarchia del sogno. Cominciamo a vincere. Terzi in classifica. Entriamo nei playoff per accedere alla Lega Pro. Fino a questa sera di maggio, in questa notte senza fine. Duemila persone allo stadio, le bandiere tirate fuori da chissà dove, sorrisi e lacrime.
Sono sul prato adesso, guardo i ragazzi felici sotto la curva nord che si tengono per mano e si abbracciano con i tifosi. La città ha capito e si è svegliata da un rassegnato torpore. Ha capito quanto è potente la forza di ritrovarsi comunità. L’orgoglio di trovare un riscatto al destino avverso. La voglia di rovesciare il tavolo, di dimostrare che non è sempre e solo una questione di soldi. E i ragazzi della Viterbese tutto questo l’ha dimostrato. Non so cosa succederà, se questa società fallirà o qualche ricco imprenditore deciderà di salvarla. Quello che so è che tutto questo rimarrà per sempre. Dicono che non sono un uomo di calcio. E’ vero. Sono semplicemente un uomo, folle di un amore scriteriato. Orgoglioso di rappresentare questo gruppo di uomini, che ha dimostrato la forza della solidarietà e dell’amicizia.
E’ tardi ormai, il Rocchi è tornato silenzioso. Abbraccio Franco Caianello il mitico custode dello stadio, che in un sorriso sdentato mi dice “daje presidè” e spenge le luci.